Uno studioso amendolarese alla ricerca della genesi delle parole
Il libro di Nicola Santagada Alla ricerca della genesi delle parole rappresenta un interessante contributo al tema delle origini del linguaggio, tema che ha una lunga ed autorevole tradizione nella storia della linguistica. Fin dai tempi dei Greci, infatti, ci si interrogò sull'origine e sul significato delle parole. ll Cratilo di Platone (IV sec. a. C.), ad esempio, è un dialogo tutto dedicato al problema della natura linguaggio. In quest'opera Socrate spiega ad uno dei suoi interlocutori, Ermogene, che i nomi sono sempre "nomi composti" e che essi vanno esaminati nei loro componenti, come ad esempio le vocali. Secondo Socrate, le vocali, e più in generale, gli elementi che compongono i nomi, devono riprodurre "l'essenza delle cose espresse". Nel Cratilo vengono presentate due concezioni teoriche opposte circa la natura del linguaggio: la "teoria sofistica del linguaggio", secondo la quale il rap-porto tra parola e oggetto è puramente convenzionale (sicché la parola "cavallo" indica l'animale "cavallo" solo per pura convenzione, potendo benissimo essere sostituita da qualsiasi altra parola, senza alcun rapporto con la cosa nominata), e la "teoria naturalistica" che presuppone, invece, un'identità profonda tra il nome e la cosa nominata. Secondo questa teoria (concezione ontologica) la parola racchiude in sé la natura stessa della cosa nominata, che da essa è pervasa. Platone crede che i nomi facciano sempre riferimento ad una realtà esterna, ossia alla realtà stessa delle cose a cui si riferiscono. Il nome, insomma, si riferisce sempre ad una realtà nominabile.
Il libro di Nicola Santagada si riconnette essenzialmente a questa concezione linguistica e sviluppa in pagine dense, ricche ed interessanti, articolate riflessioni sull'identità profonda tra significante (i suoni, le parole) e la realtà che da esso viene espressa.
Il lavoro è apprezzabile perché l'autore, su questo piano, rinverdisce un'autorevole tradizione di pensiero che, oltre Platone, ha avuto nel corso dei secoli autorevolissimi sostenitori, tra i quali, per citare alcuni, grandi filosofi come Leibniz, Vico e Cassirer, e molti altri autori contemporanei.
Pur con diverso taglio e diverse prospettive, secondo questi studiosi non si può negare che siano presenti nelle lingue "impronte iconiche" della realtà del mondo, impronte che possono essere studiate, analizzate e portate adeguatamente alla luce.
Nicola Santagada, nel suo interessante volume, si ispira e segue proprio questa linea interpretativa circa l'origine e la natura del linguaggio, sostenendo che esiste, ed è riconoscibile, a livello fonico una sorta di "iconicità del linguaggio" che egli indaga e pone in luce soprattutto nel greco e nel latino, lingue alle quali è rivolto il suo interesse.
L'autore interpreta i significati profondi della nostra lingua, prendendo in considerazione con grande cura e minuziosa attenzione il livello fonico del significante delle "matrici" linguistiche greco-latine, i suoni di queste parole che costituiscono i costituenti minimi degli enunciati, i quali determinano e condizionano in modo basilare il rapporto originario tra significante e significato.
Nella sua analisi linguistica si aprono, inoltre, numerosi ed interessanti squarci sui caratteri di fondo della realtà antropologica e sociale dell'antica Grecia e dell'antica Roma, per cui il libro consente al lettore di conoscere in maniera più completa le idee e la cultura, in generale, delle antiche civiltà del Mediterraneo.
Secondo la teoria di Santagata, "ogni lettera dell'alfabeto greco, come di quello latino" esprime un suo preciso significato. La parola greca, dunque, secondo l'autore, non è un atto convenzionale ed arbitrario di una comunità dei parlanti (come, invece, hanno sostenuto molti linguisti contemporanei, a partire da Saussure e Genette'). I costituenti più piccoli delle parole rappresentano un aspetto preciso del reale (il "nominatum") ed hanno un rapporto semantico diretto con esso. L'alfabeto greco è nato, perciò, come codice simbolico "prima mimetico o gestuale, poi sonoro, e solo molto più tardi, grafico". La teoria di Santagata si presenta, dunque, come un ritorno alla teoria platonica di un'origine ontologica, e non arbitraria e convenzionale, del linguaggio. L'idea di fondo è costituita dall'affermata esistenza di un rapporto stretto ed ineludibile tra suono "nominante" e realtà "nominata".
Posto il significato semantico di base dei fonemi, per definire tali associazioni tra il simbolo fonico e il relativo campo semantico del termine, e quindi per avvalorare l'ipotesi del significato profondo del lessico greco-latino, l'autore procede con il metodo di un "percorso a posteriori": dalla raccolta e dall'esame attento e sistematico delle radici di base della civiltà greca, italica e latina, analizzate con grande cura, e con frequenti riferimenti anche al dialetto locale (quello di Amendolara, centro dell'Alto Ionio cosentino, ma non solo), l'autore avanza le sue ipotesi circa i valori semantici profondi del sistema linguistico greco che, influenzando poi la lingua di Roma, ha lasciato tracce profonde in tutta la cultura Occidentale.
Nell'articolato e denso capitolo dedicato alla decodifica delle simbologia fonica, Nicola Santagada avanza alcune ipotesi sulla valenza di questi simboli fonici e grafici, come, ad esempio, la consonante n che rappresenterebbe il campo semantico del "dentro"; oppure la m che, invece, rappresenterebbe quello del rimanere; il simbolo della consonante liquida "I" fa riferimento ad un generico "sciogliere", significato che poi si sarebbe precisato, nella composizione delle parole, da altri simboli che si possono unire alla liquida; con la "b" fu indicato il concetto di andare, e così via, sia per le consonanti che per le vocali.
Un'attenzione particolare viene dedicata al significato delle radici verbali e nominali e all'esame delle polisemie connesse, ai meccanismi di formazione dei valori temporali e modali dei verbi, con il puntuale esame di numerosissime radici e delle loro varie derivazioni che assunsero poi nel tempo diversi esiti e produssero diversi significati.
L'origine del fono-simbolismo e lo sviluppo della sua valenza semantica vengono ricondotti alle origini dell'umanità ed in particolare al periodo della nascita della civiltà pastorale ed agricola. Secondo Nicola Santagada tutto il vocabolario greco-latino, espressione della civiltà pastorale ed agricola mediterranea, discende da stretti rapporti funzionali stabiliti tra pochi e basilari aspetti della vita delle comunità del neolitico e dell'età del bronzo ed alcuni suoni originari con cui essi vennero in origine espressi e quindi comunicati (suoni che sono diventati, soltanto molto tempo dopo, simboli grafici). Tali aspetti della vita individuale e sociale sono essenzialmente la sessualità, la gravidanza, le doglie, il parto e la nascita, la famiglia, la cura materna, la seminagione, il raccolto; ossia tutti gli aspetti antropologicamente essenziali per la comunità umana che aveva appena compiuto la "rivoluzione agricola" e per la quale gravidanza, nascita e riproduzione erano elementi centrali per la vita dei suoi membri.
Santagada conduce un'analisi lessicale del vocabolario dell'antica civiltà ellenica e romana encomiabile per la vastità del repertorio di termini fondamentali presi in esame, per attenzione ai diversi significati proposti da autorevoli dizionari, per acribia critica. II che rivela la lunga e puntuale fatica con cui è stato condotto il lavoro che, come lo stesso autore scrive "è stato intrapreso per una finalità didattica [...] per cogliere il concreto da dare agli alunni, con risultati in gran parte soddisfacenti".
Altrettanto pregevole, ampia ed esaustiva, è l'analisi, condotta in modo puntuale, accurata ed efficace, dei suffissi e dei prefissi greci e latini, presi in esame singolarmente nel loro ruolo di modi-ficatori del valore semantico dei termini e nella loro funzione di efficaci "produttori" di nuovi termini che hanno ampliato ed espanso il patrimonio linguistico delle comunità. Un rassegna davvero esaustiva che può risultare molto utile anche sul piano didattico per chi voglia insegnare o comprendere più compiutamente il significato profondo di tante parole che appartengono oggi alla nostra civiltà 'linguistica.
il ricco e laborioso libro di Nicola Santagada è completato da un capitolo di approfondimento sul valore semantico di alcune parole particolarmente rilevanti per la storia della civiltà Occidentale (religio, óçìá e signum, ÷ñïíïs e tempus, ecc), indagate accuratamente per la loro importanza nello sviluppo storico dell'Europa Occidentale, e due organiche Appendici molto utili ed interessanti: il Dizionario breve della lingua italiana (prezioso strumento di consultazione per ricostruire l'etimologia dì tante parole della nostra lingua e comprenderne a fondo il significato attraverso il recupero del senso etimologico nascosto in ciascuna di esse) ed il Dizionario breve delle parole del dialetto amendolarese.
Bisogna osservare che è un ulteriore merito di questa articolata e complessa ricerca linguistica aver preso in considerazione anche il dialetto, e aver presentato la lingua della comunità locale come una delle tessere significative di un grande mosaico di civiltà. Non si può conoscere a fondo l'anima e l'identità di un popolo e di una civiltà senza conoscere, e capire a fondo, la lingua che di quella civiltà è al tempo stesso espressione e specchio. Anche le civiltà rurali, che non si sono espresse nelle forme alte della letteratura artistica, rivelano nel proprio idioma un universo di significati spirituali, morali, etici e civili, interessantissimi dal punto di vista. antropologico. La raccolta fatta da Santagata nel suo Dizionario essenziale delle parole amendolaresi è un prezioso lavoro da questo punto di vista, poiché salva un patrimonio linguistico che, col passare del tempo, rischia di scomparire nell'inesorabile processo di omologazione generale delle culture mondiali.
Salerno, 18 agosto 2019
Dario Iannice
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